Psicologia della ricerca di un rifugio - Un’esperienza simbolica ed evocativa in montagna

Psicologia della ricerca di un rifugio - Un’esperienza simbolica ed evocativa in montagna

Su invito degli organizzatori di Rifugi Aperti del Mediterraneo (RAM), ho avuto il piacere di poter rappresentare l’Ordine degli Psicologi d’Abruzzo con una relazione dal titolo “Psicologia della Ricerca di un Rifugio”. In una cornice fantastica, il rifugio Telespazio (1980 M/S.L.M), in compagnia di molti alpinisti e amanti della montagna, abbiamo provato a ragionare partendo da una parola dalla sicura proprietà evocativa: “rifugio”.
Abbiamo interrogato il sapere della Psicologia Ambientale, che è il ramo della Psicologia che studia il benessere e il comportamento umano alla luce delle transazioni che avvengono tra l'individuo e l'ambiente socio-fisico. Un esempio ne è quello che viene definito effetto prospettiva rifugio (prospect-refuge, Appleton 1975), ovvero la teoria che spiega perché le persone preferiscano stare ai margini di un ambiente piuttosto che al centro. Questo è un effetto che è possibile verificare ogni volta che entriamo in un ristorante: le persone che entrano occupano i posti che li mettono in condizione di avere le spalle al muro, e i posti al centro sono solitamente occupati alla fine. Altre ricerche evidenziano come dare le spalle ad una porta modifichi il nostro livello di attivazione fisica, probabilmente evidenziando anche come l’origine di questi fenomeni ponga le sue radici nella nostra storia evolutiva: in fondo, in noi abita un primitivo che provvede in ogni momento alla nostra necessità di sentirci sicuri.

Un altro fattore interessante, che ci aiuta a valutare l’ambiente e ci induce all’esplorazione, è quello che viene definito il grado di “mistero” di un ambiente (Kaplan e Kaplan, 1989). Un ambiente “misterioso”, ovvero un ambiente che è in grado di offrire una notevole quantità di informazioni nascoste (siepi, angoli, ecc.) stimola la nostra voglia di introdurci maggiormente nell’ambiente stesso per ricavarne maggiori informazioni.

Facendo un altro salto culturale, forse troppo lungo, abbiamo tirato in ballo le Neuroscienze Affettive, con quello che il neuroscienziato Jaak Panksepp ha definito il sistema ancestrale della RICERCA (SEEKING). Un sistema che, attraverso le vie dopaminergiche mesolimbiche e mesocorticali, rappresenta il correlato neurofisiologico della nostra curiosità per l’ambiente, della nostra voglia di esplorare il mondo che ci circonda nella ricerca di ricompense, nella speranza o nella certezza che nello stesso mondo ci sia qualcosa per cui valga la pena…agire.
Il sistema che, forse, tutte le mattine ci spinge ad alzarci dal letto.

È proprio in questa cornice che il concetto di rifugio, a mio avviso, trova la sua energia: nella voglia di esplorare il mondo, e nella speranza che ci sia una base sicura a cui poter tornare, nel caso in cui le “cose” si mettano male. Il rifugio come uno spazio ed un tempo in grado di ripristinare uno stato di sicurezza perso. Rifugio come sicurezza e come speranza.
Con un volo, forse pindarico, abbiamo poi ragionato su come il rifugio possa assumere anche il significato di prigione, riferendoci all’uso senza controllo della tecnologia, che oggi per alcuni aspetti sembra essere un’emergenza sociale. In Italia abbiamo più schede telefoniche che abitanti; alcune ricerche ci indicano che i ragazzi di età compresa tra i 15 e i 20 anni controllano in media 75 volte al giorno il telefono (a caccia di novità), e che una quota di questo campione supera abbondantemente le 100 volte al giorno. Gli adolescenti americani trascorrono 9 ore della loro giornata consultando i media per il proprio divertimento, e nella fascia dagli 8 ai 12 anni lo fanno per circa 6 ore.
Non siamo nati per “cacciare”, ricercare il nuovo e il bello solo nelle corsie dei supermercati o sullo schermo di un cellulare! La tecnologia, se non usata correttamente, diventa un rifugio dalla vita, forse una prigione.
In montagna, al rifugio, immersi, come dicevo all’inizio, in uno splendido paesaggio abruzzese, abbiamo ragionato sulla necessità di riappropriarci di uno stile di vita che contempli il rapporto con la natura, lo spazio, il tempo e gli altri con modalità cariche di significati che oggi, almeno in parte, sembrano evaporati.

Dott. Massimiliano Di Liborio