Metà degli anni Settanta, twitter e post non viaggiano alla velocità di un clic del mouse ed un like non determina lo ius vitae necisque. Nessuno sa ancora nemmeno cosa siano. Ci sono però i follower e gli hater. Quelli non sono mai mancati, ogni epoca storica li ha chiamati in un modo differente: contestatori, sostenitori, provocatori. Sono sempre stati e continuano ad essere lo specchio della società del proprio tempo. Nello Studio Morra di Napoli, l’artista serba Marina Abramovic sconvolge l’opinione pubblica con Rhytm 0. Su un tavolo davanti a lei sistema fiori, strumenti di tortura, corde, acqua ed una pistola carica. Per sei ore si mette a completa disposizione del pubblico che può utilizzare, in ogni modo, tutti gli strumenti o oggetti sul tavolo.
Immobile, inerme, impassibile, l’artista entra in contatto direttamente con i visitatori. Durante le prime ore non succede nulla. Ad un certo punto, però, i presenti iniziano a perdere il controllo: le tagliano la pelle con delle lamette, le succhiano il sangue, la spogliano, uno mette nella sua mano la pistola puntandola contro il suo collo. Lei si ritrova così sfregiata, denudata, con i vestiti strappati fin quando questa provocatoria performance che rischia di sfociare in tragedia, non viene fermata. Dopo essersi misurata con il proprio autocontrollo e con la resistenza al dolore, la Abramovic si rende conto che il pubblico può davvero uccidere l’artista e non solo in senso metaforico. Arriva alla conclusione che l’uomo è portato ad approfittare della vulnerabilità degli altri per esercitare controllo e violenza, però poi prova vergogna. Alla fine della performance, infatti, nessuno riesce a sostenere il suo sguardo mentre passa. Spingersi all’estremo, andare al di là dei propri limiti e di quelli imposti dalla morale comune è il senso di Rhytm 0 della Abramovic. Ma è anche la nostra quotidianità che purtroppo ogni giorno rimbalza da una parte all’altra del mondo su media e social, tanto che le notizie di sopraffazione e violenze, fisiche e verbali, in strada, nelle scuole, negli stadi, nelle case sembra che talvolta non facciano più notizia.