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Arte e/è rigenerazione

Arte e/è rigenerazione

Arte e rigenerazione ovvero arte è rigenerazione. “E” congiunzione e allo stesso tempo “è” voce del verbo essere danno l'esatta misura del progetto #cittàdelfuturo che vede in prima linea l’Ordine regionale degli psicologi impegnati a dare nuova vita agli spazi urbani con ingegneri ed architetti. Alla ricostruzione "ufficiale" destinata a cambiare il volto delle periferie, l’Ordine presieduto dal dottor Tancredi Di Iullo, ha pensato di affiancare una ricostruzione "non ufficiale" proiettata verso il futuro e contemporaneamente trait d’union con il passato scegliendo di restaurare un’opera d’arte in un luogo simbolo per gli abruzzesi, L’Aquila, devastata dal rovinoso sisma del 2009. La scelta è ricaduta su un olio su tavola che raffigura il Beato Vincenzo dell’Aquila attribuito a Saturnino Gatti insieme al Sacello - Urna. Un gesto solidale e contemporaneamente etico e culturale, come sottolineato dal presidente DI Iullo. La città, L’Aquila in primis, non è infatti solo un insieme di elementi architettonici, è un tessuto vivo formato da elementi sociali, economici, storici e culturali. Una città, prima che da edifici è fatta da persone che vivono insieme e la sua forza e la sua essenza passano attraverso la consapevolezza che esse hanno del luogo in cui abitano. Quando il cittadino non percepisce più la città soltanto in relazione alla sua funzione d’uso ma da un punto di vista emozionale, si lega maggiormente a lei. Il rapporto città- arte sta diventando di crescente interesse e la creatività si sta ritagliando un suo ruolo nei progetti di rigenerazione urbana. Se il concetto di rigenerazione appare quindi sempre più legato alla bellezza e alla conoscenza, diventa ancora più significativa l’iniziativa dell’Ordine di recuperare un’opera d’arte in un luogo che è stato violentemente privato della sua memoria dal terremoto. Se nelle periferie urbane, #città del futuro deve contribuire a creare identità facendo uscire l’arte dalla sua autoreferenzialità, nel capoluogo abruzzese l’arte aiuta a ricostituire dei legami con un passato tragicamente spezzato. La restituzione del dipinto alla collettività si configura inoltre come un simbolico passaggio del testimone alle nuove generazioni alle quali viene consegnata la conoscenza attraverso la rigenerazione della bellezza.

ARTE E PERIFERIE

L’arte rappresenta da sempre per ogni collettività la proiezione verso il mondo esterno e insieme l’espressione della propria vitalità. Molte esperienze urbanistiche stanno nascendo dall’incontro tra architettura ed arte per reinterpretare gli spazi. Una sfida ardua perché presuppone la cancellazione di paradigmi mentali, primo fra tutti quello che l'edilizia pubblica è generatrice, in molti casi, di “ghetti di emarginazione”. Il binomio arte- architettura sta invece diventando una grande occasione per contrastare la disarmonia sociale che caratterizza gli ambienti umani complessi. Secondo questo presupposto e secondo l’intento che muove #cittadelfuturo, chi abita in periferia ha il diritto di contare socialmente come tutti gli altri cittadini vivendo bene in un luogo bello. Per vincere questa sfida, però, non occorre solo ripensare gli spazi. Occorre progettare veicolando cultura attraverso l’architettura. L'arte può rigenerare le periferie con un approccio partecipativo, riconsiderando il rapporto tra creatività e società e analizzando le sue potenzialità nei processi di trasformazione sociale. L’architetto Yona Friedman, fautore delle città diffuse, dei musei smontabili, delle case mobili sostiene, per esempio, che l’architettura deve elaborare progetti realizzabili, non deve occupare, con edifici costosi e spettacolari, strade e piazze sempre più disumane. Anzi, è necessario dare voce alla fantasia di chi abiterà gli edifici che si stanno costruendo.

UN PO’ DI STORIA

Quando l’arte diventa pubblica, entra nel contesto urbano ed esce dai luoghi da sempre deputati a “contenerla” come le istituzioni museali. L'arte pubblica è usufruibile liberamente e spontaneamente in quanto collegata allo spazio collettivo del quale interpreta, sostiene e diffonde il sentire. Nel 1922 in Messico si impongono tre artisti, protagonisti di una vera e propria rivoluzione artistica, sociale e culturale, il Muralismo. Sono David Alfaro Siqueiros (teorico che scrive il manifesto nel muralismo nel 1932), José Clemente Orozco e Diego Rivera (marito della nota pittrice Frida Kahlo). Fanno uscire dalle gallerie e delle istituzioni pubbliche e private l'arte portandola in strada. Questa tendenza, a partire dagli anni ’30, si diffonderà poi anche nel mondo occidentale. Siqueiros che usa per la prima volta il termine muralismo, è promotore di una rivoluzione sia dal punto di vista ideologico che delle tecniche artistiche. Pittura a spruzzo con l’aerografo, vernice per auto e resine sintetiche a rapida essiccazione resistenti agli agenti atmosferici, la macchina fotografica per studiare e correggere le aberrazioni prospettiche sono i prodromi dell’arte pubblica intesa come “arte maggiore” realizzata da artisti civili, cittadini e combattenti. Il percorso sarà lungo e articolato e passerà per altri nomi del calibro di Pollock e per i loghi-luoghi dei prodotti popolari e dei personaggi dei fumetti paradigma della Pop- art.

ARTE E/È RIGENERARE

Nell’atto creativo all’interno della sfera pubblica entra in gioco una variabile significativa: la ricerca della felicità. Ogni essere mira alla soddisfazione nel corso della sua esistenza a partire dalle relazioni e dalle sensazioni positive che può o meno trasmettergli lo spazio in cui vive e si muove. Le ricerche sociologiche confermano che l'indice di felicità più alto si raggiunge nei paesi in cui i concetti di comunità e condivisione prevalgono sull’individualismo. In ambito scientifico è stato dimostrato come depressione, disagio mentale e solitudine siano fattori di infelicità più potenti della povertà. Il noto economista Richard Layard nelle sue teorie mette in evidenza come sia possibile varare una politica economica nella quale si combinino mercato, psicologia e sociologia privilegiando le relazioni piuttosto che il reddito. Del resto, anche gli Illuministi padri fondatori della dottrina economica, da Adam Smith a Beccaria a Bentham, si preoccupavano sia della ricchezza delle nazioni che della loro felicità. Questa ricerca non è legata solo al miglioramento delle relazioni tra esseri umani ma anche alla partecipazione come cittadini alla trasformazione della città. Prendendo in prestito la teoria dei “brokens mirrors”, nelle periferie urbane, un vetro rotto non accomodato genera una reazione a catena che arriva a contaminare un intero quartiere consegnandolo al degrado sociale, economico e culturale. I segnali di abbandono dello spazio pubblico portano poi ad un progressivo allontanamento affettivo dei cittadini nei confronti dei luoghi di appartenenza. L’arte pubblica quindi deve favorire le relazioni, aumentare il senso di comunità e migliorare il senso di felicità. Sono diverse le esperienze realizzate in tutto il mondo in realtà dove, apparentemente, le criticità accentuate portavano a ritenere inutile o troppo complesso da realizzare qualsiasi intervento di rigenerazione attraverso l’arte. È il caso di un quartiere difficile di Medellin, capitale del narcotraffico colombiano o ancora della baraccopoli di Vila Cruizeiro e Santa Maria di Rio de Janeiro. Qui ha lavorato il duo di artisti olandesi Haas&Hahn coinvolgendo nell’opera Favela painting adulti e bambini che hanno cambiato il volto di strade, pareti e superfici. Un altro caso molto noto è quello dell'East London Brik Lane a Londra diventato da luogo di crimine e di spaccio a quartiere delle gallerie e del design.

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