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#cittàdelfuturo

#cittàdelfuturo è il progetto che vede insieme psicologi, ingegneri ed architetti abruzzesi, in un percorso esplorativo del rapporto “individuo- comunità- contesto territoriale” nei nuovi scenari urbani: le periferie protagoniste di un nuovo modello di vita sostenibile. Lo scorso luglio a L’Aquila si è tenuto il primo di una serie di seminari sul tema dell’abitare coniugato al benessere. “Una scelta non casuale, quella del capoluogo abruzzese” sottolinea Tancredi Di Iullo, presidente dell’Ordine regionale degli psicologi, promotore e sostenitore di questo progetto.

“L’Aquila è il simbolo della rinascita e della ricostruzione nel senso più ampio del termine, non solo dal punto di vista architettonico. La Psicologia può sicuramente dare il proprio contributo in un’ottica multidisciplinare e multiprofessionale, nel creare un modello di vita sostenibile e generatore di benessere”. L’arte del costruire influenza il vissuto di chi abita le città e i territori o ne viene semplicemente a contatto. Chi progetta quindi deve essere capace anche di comprendere la mente umana e le esigenze dell’utenza perché soltanto così può assicurare salute e benessere. In che modo? Attraverso il supporto della Psicologia, per cominciare. Se infatti l’arte del costruire regolamenta gli spazi, la Psicologia offre la chiave di lettura di quegli stessi spazi studiando i processi cognitivi ed emotivi di chi ne sarà il fruitore.

Un po’ di storia…

La storia ci insegna che il concetto di “città ideale” nel senso più ampio del termine, affonda le sue radici nel tempo ed è stato sempre un tema di grande interesse. Nel Quattrocento, in Italia, cuore pulsante della civiltà umanistico- rinascimentale, il dibattito sulla “città- ideale” da teorico diventa pratico. E così i centri di potere e cultura cambiano aspetto, dalla Urbino del Duca Federico da Montefeltro, alla Ferrara del Duca Ercole I ingrandita dall’Addizione erculea dell'architetto Biagio Rossetti, a Palmanova con la sua pianta a stella perfetta. Accanto a questi celeberrimi casi, ce ne sono altri forse meno conosciuti, sia della stessa epoca che di quelle successive, come la Terra del Sole voluta da Cosimo de’ Medici, Sabbioneta o Acaya, fino ad arrivare alla Sabaudia di impianto fascista o La Scarzuola. E laddove non è stato possibile intervenire sull’assetto urbanistico ci si è concentrati sulla piazza, l’agorà, il centro della polis, luogo-simbolo della condivisione per gli antichi Greci, come a Pienza, Vigevano, San Lorenzo Nuovo, Avola. Un altro esempio degno di nota è il Villaggio Solvay voluto nel 1917 da Ernst Solvay, direttore generale di Solvay. Si tratta di una delle pochissime Città- Giardino realmente riuscita al mondo, frutto di una attenta progettazione urbanistica che combina armoniosamente aree verdi e abitazioni, edifici pubblici e di servizio, disposti in modo razionale e funzionale a pochi metri dagli stabilimenti industriali. Primo di una serie di insediamenti fatti realizzare dall'azienda chimica, prevede case per dirigenti, impiegati ed operai.

Psicologia e Architettura: uniti sull’abitare

Questi esempi confermano che il rapporto tra l’uomo e l’esterno si è sempre declinato attraverso l’abitare ed è stato quasi sempre mediato unicamente dall’Architettura. La Psicologia può e deve fornire le capacità di abitare lo spazio condiviso supportando l’Architettura. Non una scienza ancella, quindi, ma una scienza protagonista dello sviluppo e del rilancio delle realtà marginali, spesso identificate con le “periferie esistenziali” tanto care a Papa Francesco. Ma che significa abitare? L’origine va rintracciata nel latino habito, frequentativo del verbo habeo (avere) che significa soler avere, abitare, dimorare. Etimologicamente c’è l’idea dell’iterazione, dell’abitudine, della consuetudine, dello stare in modo continuativo. Abitare significa quindi assumere abitudini e abitare un certo luogo comporta la produzione o l’adozione di abitudini locali. Le abitudini si formano dalle nostre interazioni con l’ambiente che ci circonda. Si innesca così uno stretto legame tra luoghi e persone. Abitare i luoghi significa avere stili di vita e consuetudini diversi. Ogni luogo che si abita è diverso dall’altro. Abitare le periferie è diverso dall'abitare il centro o la campagna. Ripensare gli spazi urbani, non può quindi prescindere dal coinvolgimento di chi opera per il benessere ovvero la categoria professionale degli psicologi. Dall’evento iniziale dell’Aquila sono nate altre idee e nuovi spazi di confronto e incontro per #cittàdelfuturo. Ripensare le periferie significa infatti lavorare ad un progetto non solo di architettura e ingegneria, significa intervenire a 360 gradi promuovendo un modello di sviluppo e crescita che consenta di vivere in modo più armonioso con e nell’ambiente circostante. Il tempo ha trasportato chi vive in città, da “dentro le mura” ad una realtà orizzontale, fluida, “liquida”, interscambiale, culturalmente aperta a diverse etnie. I nuclei storici si sono allargati cedendo le loro forme originarie alla modernità pur conservando tradizioni radicate e consolidate. Nelle periferie, oggetto di studio di #cittàdel futuro, non si è assistito all’epocale passaggio dentro- fuori le mura. Nelle periferie nate in tempi moderni senza le tradizioni radicate che connotano le città, il senso di appartenenza e di identità si percepisce quasi unicamente dalle costruzioni. Lo spazio costruito è invece anche un mix di relazioni che pur non essendo state scritte dalla storia, come per le città, non possono essere ignorate. Vanno recuperate, promosse, valorizzate nell’ottica del benessere. Nelle periferie, quindi, Architettura e Psicologia devono esplorare insieme.
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