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L’interazione uomo-macchina: un nuovo spazio per la psicologia

L’interazione uomo-macchina: un nuovo spazio per la psicologia

E’ di qualche giorno fa l’articolo pubblicato sul Corriere della Sera sulle professioni del futuro.
Tra queste c’è anche la psicologia nell’ambito delle applicazioni human-computer interaction. Gli studi sull’interazione uomo-computer e uomo-macchina stanno infatti facendo passi da gigante. Grazie all’intelligenza artificiale l’introduzione dei robot nella nostra vita sta diventando una realtà.

Cosa intendiamo per interazione uomo-macchina?

L’interazione uomo-macchina riguarda lo studio di come gli uomini interagiscono e comunicano con le macchine e soprattutto, nei prossimi anni, con i robot. La tecnologia e i computer stanno invadendo in maniera prepotente la nostra vita quotidiana a tal punto che molte delle nostre azioni possono essere delegate agli smartphone. Nella domotica, ad esempio, molte azioni che facciamo comunemente a casa possono essere controllate, monitorate e gestite via smartphone, sensori di gesti e voci, occhiali, touch screen etc. Pensiamo agli ormai famosissimi Echo e Alexa, due assistenti virtuali capaci di fare ricerca su internet, gestire la tv, musica etc.
L’interazione uomo-macchina è una disciplina a cavallo tra informatica, ingegneria, ergonomia e scienze comportamentali. Dunque la psicologia è chiamata in gioco in diversi momenti.

Il ruolo dello psicologo

Primo, nella fase di progettazione, è importante conoscere i processi cognitivi (visione, linguaggio, memoria, emozioni) e fare delle previsioni su come quella macchina verrà utilizzata. In questo modo è possibile strutturare un’interfaccia efficace. Ad esempio, il sistema cognitivo ha dei limiti: questo è importante quando dobbiamo prevedere un numero elevato di tasti e l’interfaccia deve risultare intuitiva.
Una volta sviluppate, le macchine (siano essi assistenti virtuali o anche dei robot) andranno inserite in un contesto fatto di persone. Sarà dunque importante capire come esse vengono recepite, ad esempio, all’interno del quadro delle differenze d’età (se e come insegnare ad un anziano ad accettare di interagire con un assistente virtuale o un caregiver robot) e anche delle differenze individuali (se ci sono strumenti che risultano più congeniali ad alcuni/e ma non ad altri/e).
Le ultime frontiere della ricerca stanno portando allo sviluppo dei cosiddetti cobot, ovvero robot collaborativi. Non si tratta di macchine che lavorano in maniera autonoma in contesti industriali, ma dei robot che interagiscono con gli uomini in maniera complessa. La figura dello psicologo è allora fondamentale per fare in modo che questa interazione sia di arricchimento all’interno dei contesti quotidiani e, soprattutto, di cura e rappresenti dunque un’opportunità, ad esempio, nei casi di perdita di memoria, di difficoltà motorie, di isolamento sociale, per citare solo alcuni esempi. Va da sé che lo psicologo dei cobot rappresenterà nei prossimi anni uno spazio importante per la professione da conoscere e potenziare.
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