Un elogio all’imperfezione

PRESENTAZIONE DEL LIBRO: “Il mito della perfezione. Fragilità e bellezza nei disturbi del comportamento alimentare” di Elena Riva

In questo testo, attraverso l’esempio offerto da personaggi femminili noti in ambito storico, artistico, letterario, politico, scientifico e umano, Elena Riva si occupa di inquadrare i disturbi alimentari sotto la lente unificatrice di alcuni “miti”; tra questi – come suggerisce il titolo – quello della perfezione. Il termine mito è in inteso come lo utilizza Gustavo Pietropolli Charmet, riferendosi “alla sostanza affettiva che cementa le scelte automatiche imposte dal carattere” (p.212 nel testo).

Il comportamento sintomatico che investe il cibo appare come la forma più esplicita ed estrema di un atteggiamento simbolico adottato però in qualsiasi ambito da queste pazienti: la ricerca dell’eccellenza, la realizzazione di un’immagine di sé ideale, ma anche “un ideale etico o religioso, artistico o politico, solo nelle espressioni più recenti un ideale estetico” (p.10). A tal proposito l’autrice sostiene che cercando di rintracciare i disturbi anoressici in un passato in cui ancora non esistevano categorie diagnostiche a cui rifarsi, ci si accorge che “il culto estetico della magrezza non è intrinseco a tali patologie; si tratta, se mai, del fattore aggiunto dalla contemporaneità a uno stile di funzionamento psichico ben più complesso e multiforme” (p.10). Questa prospettiva dunque “considera l’anoressia nervosa espressione di una specifica ideologia affettiva” e legittima la ricerca, nella biografia di queste pazienti, di uno “stile anoressico, a prescindere dalla presenza o meno di comportamenti sintomatici.” (p.74), sconfinando dunque anche in casi meno espliciti.
In generale, esordendo in età adolescenziale anoressia e bulimia affrontano “le crisi e i compiti di questa fase evolutiva orientate da una stessa strategia emotiva e relazionale di marca narcisistica, fondata sul rifiuto del corpo e sulla svalutazione della femminilità, oltre che uno smisurato investimento del successo scolastico, sociale e sportivo”. (p.191-2)

Santa Caterina e Simone Weil, Emily Bronte ed Emily Dickinson, Elisabetta d’Austria, Lady Diana, Maria Callas, Sylvia Plath, Nadia Comaneci e Rita Levi Montalcini sono i personaggi che prestano le loro biografie ad una indagine psicoanalitica delle loro abitudini e relazioni. Le donne di cui Elena Riva ci racconta “hanno in comune l’aspirazione a costruire una personalità d’eccezione, discostandosi profondamente dai modelli femminili imperanti nella loro epoca.” (p.10-11) il che ha rappresentato sia la possibilità di esternazione di un disagio profondo, sia l’occasione di mettere collettivamente in discussione modelli femminili stereotipati.

In particolare, in molti dei suddetti casi emerge e ricorre un rifiuto dei valori della cosiddetta femminilità “tradizionale”, laddove è vista come una sovrapposizione di tratti materni – di un materno dedito esclusivamente ai bisogni dell’altro – ad un certo tipo di donna. Questo rifiuto passa per la svalutazione del corpo, preso come rappresentate di tale femminile e visto “come altro da sé, oggetto estraneo e alienato che il soggetto utilizza per esprimere ciò che non potrebbe essere mentalizzato se non a prezzo di un’insopportabile sofferenza psichica” (p.218) e che come tale, può essere sottomesso – a mente e volontà –, disciplinato o idealizzato, nei casi più estremi mortificato. L’essenziale scissione esistente tra pensiero e corpo che ritroviamo anche nelle biografie prese in esame, è “una strategia affettiva finalizzata a liberare lo spirito dai limiti e dalla dipendenza dal corpo e dagli affetti” (p.75).

L’epoca iper-moderna ha visto tuttavia affiancarsi al “sacrificio della carne” (avente nel trionfo sul corpo già un motivo di soddisfazione) una “religione dell’immagine”, per cui il corpo assume un uso narcisistico, dipendente dallo sguardo dell’altro. E’ il caso di forme sintomatiche come la bulimia, che nell’oscillare tra arroganza e fragilità, impulsività e compiacenza, pur muovendosi in un “perfezionismo esasperato”, si volgono tuttavia al bisogno di amore e riconoscimento, “essere perfette per sentirsi finalmente amate” (p.88).

Al di là quindi dell’ingiusta semplificazione a cui va incontro la vita di queste artiste e donne una volta guardata con la lente diagnostica, la ragione per cui troviamo interessante questo testo è la cura posta a far scivolare l’attenzione dal comportamento in sé alla inclinazione del carattere, alle raffigurazioni che di esso si svelano nelle vicende familiari, nelle passioni e nei sintomi – che non vanno quindi debellati a prescindere come se non c’entrassero nulla con il destino delle persone in cui sono emersi.

Anche la riflessione di genere posta al centro dal testo va letta in senso simbolico, ovvero non come se parlassimo di “uomini” e “donne” in senso solo genitale o di “tipi di donne”, come se l’essere umano fosse una pedina che deve posizionarsi di qua o di là della scacchiera; parlare di “stili” lascia intendere che siamo un compromesso di voci, oggetti interni e immagini interrelate in maniera complessa. Un altro spunto interessante riguarda il “confine” tra psicopatologia e comportamento socialmente accettabile. La proposta che avanza l’autrice (consentitemi lo spoiler) è che il confine sia nel compromesso con il proprio ideale narcisistico (p.193). Questo rivelano le biografie, una dopo l’altra – fino all’ultima, che ne è la dimostrazione lampante: accostandosi con sincerità a quel “difetto di base” all’origine de “l’acrobatico progetto di essere tutto e superarsi in tutto” (p.116), ancora una volta la salvezza si trova nello scendere a patti con l’esser imperfetti.

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SCHEDA LIBRO

Arcipelago N. Variazioni sul narcisismo

Titolo del libro: Il mito della perfezione. Fragilità e bellezza nei disturbi del comportamento alimentare.

Autrici: Elena Riva

Casa Editrice: Mimesis

Anno pubblicazione: 2014

articolo di Alice Bettini