Note per una piacevole sopravvivenza

PRESENTAZIONE DEL LIBRO: “COME SOPRAVVIVERE DA PSICOTERAPEUTA.” di Nina Coltart

L’opera che presentiamo oggi è di Nina Coltart, psicoterapeuta e saggista britannica, psicoanalista appartenente al Middle Group; un testo che ha visto la luce per la prima volta nel 1993, recentemente ristampato per Mimesis Edizioni (2022).

Possiamo annoverarlo in quel genere di pubblicazioni di cui – nell’ambito della psicologia e della psicoterapia – si sente ogni tanto il bisogno. Tra la formazione pratica e il costante aggiornamento delle nostre conoscenze, animati collettivamente da uno sforzo sempre più evidente di apparire scientificamente adeguati e muniti di dispositivi oggettivi, non dovremmo mai trascurare di lucidare il vero “strumento” attraverso cui lavoriamo: noi stessi. Sebbene ci rifacciamo a specifici manuali, lenti teoriche, tecniche o metodi di conduzione, chi maneggia tutto questo sapere resta sempre la soggettività del professionista, con la sua umanità. Questo libro ci ricorda che preoccuparci della nostra “sopravvivenza” e salute a tutto tondo è importante per adempiere ai propositi che ci poniamo.

L’accezione con cui l’autrice utilizza questo termine, “sopravvivere”, è pertanto specifica: a dispetto dell’uso che ne facciamo di solito, cioè intendendolo come l’agire di chi per lo più stenta a vivere o di chi vive in condizioni limite, la Coltart crede che “sia legittimo servirsi dell’idea di sopravvivenza per esprimere un concetto più allegro, quello di un’esperienza positiva composta in gran parte di gioia e creatività” (p.21, nel testo).

Questo non significa escludere dalla sopravvivenza le difficoltà – che sono chiaramente il cardine del nostro mestiere – semmai di occuparsene mentre si cerca di vivere il mestiere di psicologo/psicoterapeuta il più dignitosamente possibile. Il che vuol dire contemplare e preoccuparsi della sopravvivenza del piacere per quello che si fa.

Infatti, al di là della considerevole bellezza di tale lavoro, esso è anche molto pesante.

L’autrice scrive ad esempio:

“Che noia e che squallore può produrre questa disciplina così ripetitiva! Che cosa ci salva dalla noia? Gli infiniti cambiamenti connessi ai dettagli di ogni carattere, il materiale da analizzare che, ora dopo ora, si presenta nello spazio terapeutico dello studio e richiede infiniti cambiamenti nel nostro coinvolgimento, nel nostro pensiero, nelle parole, nelle decisioni: le possibilità stesse, sottilmente diverse, sono veramente infinite.” (p.134). Oltre a ciò, il terapeuta “sopravvive fino alla fine conservando almeno in parte l’entusiasmo dei primi tempi se riesce a conservare la capacità di farsi sorprendere.” (p.46).

Altre cose che ci fanno sprofondare nella poltrona possono essere le preoccupazioni economiche, la solitudine, l’usura emotiva che comporta esporsi alla sofferenza di altri e l’eventuale senso di inadeguatezza davanti ad essa – comune soprattutto in chi è alle prime armi. Per la Coltart è molto importante dunque, oltre a prendersi il tempo per pensare e sentire, anche “decomprimere” ritagliandosi spazi di tempo libero da dedicare ad attività nutrienti, di cui nel libro riporta diversi esempi.

Il testo è confidenziale e scorrevole, sebbene dannatamente serio. L’autrice si cimenta infatti in una trattazione attorno a temi o fatti in cui ci imbattiamo generalmente durante la pratica della professione privata, alcune, se non la maggiorparte delle quali prescindono dall’indirizzo teorico, e lo fa quindi con un linguaggio condivisibile. Il fatto che l’iter di formazione a cui si fa riferimento sia quello psicoanalitico e che risalga all’Inghilterra di qualche decennio fa non costituisce un limite alla comprensione delle questioni poste, che vanno dalla decisione su come orientare il proprio intervento al confronto con accadimenti particolari durante le sedute (es. gli agiti violenti dei pazienti); dalla necessità della valutazione alla organizzazione del tempo libero; dagli invii ai colleghi al tema della fede. Quest’ultima ha uno spazio particolare nel cuore dell’autrice, chiaramente in senso psicologico, ma anche spirituale, e non religioso.

“Bisogna però che noi si abbia fiducia nei processi lenti, complessi e intricati che mettiamo in moto, ma questa fiducia in noi come psicoterapeuti non deve essere irragionevole – come se fossimo Dio – né per noi stessi né per i nostri pazienti” (p.155).

Quello che l’autrice fa arrivare al lettore è la propria personale esperienza di sopravvivenza, i propri punti fermi, attraverso consigli spassionati ed esempi; per questo il testo si presta alla lettura da parte di colleghi che sono agli inizi della professione, ma anche da parte di chi esercita già da un po’, essendo uno spaccato onesto sulla routine di un altro professionista – con cui ci si scoprirà ora in accordo ora in disaccordo. Proprio perché ci ritroviamo a strutturare delle abitudini strettamente personali (e ripetitive) è sempre bello e arricchente conoscere quello che fanno altri, cosa pensano e come reagiscono secondo le proprie sensibilità, i propri ritmi e inclinazioni. Tra l’altro, è sicuramente sentito comune che lasciare in agenda uno spazio per il confronto interessato con i colleghi (oltre alla supervisione, quindi) è un’abitudine che partecipa alla sopravvivenza.

Ma a parte piccole indicazioni comuni che negli otto capitoli tenta di riassumere, la Coltart invita ciascuno a comprendere e stabilire i propri confini professionali e umani, con onestà, a partire dalle piccole cose, accettando innanzitutto gli evidenti paradossi del mestiere e della vita.

Buona sopravvivenza a tutti.

SCHEDA LIBRO

Come sopravvivere da psicoterapeuta
Titolo: Come sopravvivere da psicoterapeuta
Autrice: Nina Coltart
Casa Editrice: Mimesi Edizioni
Anno pubblicazione: 2022

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articolo di Alice Bettini


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